domenica 8 febbraio 2015

Un matrimonio da dimenticare


"Caro Michele, io non potrò tornare in licenza nemmeno per un'ora. Se mi allontano senza permesso è sicuro che questa volta mi processano per diserzione. Sono certo che voi farete tutto come se io fossi li. Fate in modo di lasciare il mio ricordo a Emilia. Tuo fratello Antonio."

Questa la lettera che inviai a mio fratello un mese prima della data fissata per il matrimonio di Emilia,  la fidanzata,  in cui avevo riposto tutti i sogni appena sarei tornato dalla guerra. Non ci fu verso di convincere il Capitano Salbitani di concedermi una breve licenza. Eppure, ero stato soldato esemplare, eseguendo i comandi pedissequamente nonostante fossi stato assegnato, molte volte, anche in missioni ad alto rischio. Lui, il Capitano, era uomo buono, mite e comprensivo ma nello stesso tempo, determinato e intelligente. Capii a distanza di anni quel "no". Aveva agito per il mio bene, aveva compreso che ero diventato sprezzante del pericolo e cinico e ciò, tanto utile in guerra, sarebbe stato devastante in una vendetta d'amore! 

A Vaglio, i colori della primavera avevano preso pieno possesso della natura e del cielo. Un sabato di fine Aprile speciale, molto speciale! Era il giorno del matrimonio di Emilia. Il travagliato evento nuziale che aveva fatto parlare per giorni un intero paese e in ogni dove. L'eclatante "sculacciata pubblica" di qualche mese prima! Un bel sabato all'insegna del sole con le rondini che già volavano alte nel cielo azzurro di quel speciale giorno. In piazza da ore aria di matrimonio. Gli invitati già con l'abito della festa. Erano lì, ad attendere  l'arrivo della sposa con il corteo di amici e parenti al seguito che,  l'avrebbe accompagnata, in cima al monte dove la Chiesa Madre era stata ornata di nastri e fiori per il rito nuziale. 

Aldilà dell'antica porta del Palazzo Baronale, il varco che segnava il confine fra il mondo antico e quello nuovo.  Un'intera famiglia, la mia; affaccendatissima a trasportare decine di carri stracolmi di letame e sterco. Un tappeto di merda lungo decine e decine di metri sul quale sposa e invitati avrebbero passeggiato. Arrivò la sposa e appena varcò il palazzo baronale, Emilia in cima al nutritissimo corteo di parenti e amici, si trovò difronte ad uno spettacolo che mai avrebbe immaginato. 

Un odore nauseabondo e questo nastro marrone che la portava dove il tuo cuore non c'entrava niente, su un altare dove c'era un uomo diverso da quello che avrebbe voluto ad aspettare. Il corteo in men che non si dica si dileguò! Gli invitati agghindati a festa nell'unico abito della festa raggiunsero la chiesa risalendo per vicoli della via di mezzo. Per Emilia invece,  per rito e tradizioni,  quello era un percorso obbligato. Mesta e dimessa, con grande dignità raccolse lo strascico del suo velo fra le mani, arrotolò di poco il suo vestito da sposa e non appena messo piede sull'ultimo gradino della Chiesa null'altro poté fare che, sfilare le scarpe, ed entrare scalza incontro a chi lo aspettava per il primo ed ultimo si della sua vita.

Fu una cerimonia sottotono e mesta. Addirittura, Don Lorenzo dall'imbarazzo, saltò la prima lettura e i salmi quasi come a voler chiudere quella incresciosa partita in men che non si dica. Giusto il tempo per un difficile si! Nel frattempo un'anima buona aveva ripulito le scarpe di Emilia e amici di buona volontà, avevano aperto un varco in quella trincea di merda per consentire alla sposa di riprendersi la testa di un maldestro corteo nuziale. La Messa finì e nessuno andò in Pace! Perché proprio in quel momento anziché campane a festa, campane a morte! Mio fratello piccolo, di dieci anni appena, si inerpicò per le scale del maestoso campanile e fece tutto lui. Decise lui la musica della festa. Furono bocconi amari anche quelli del pranzo nuziale. Poche tarantelle e quadriglie. La sposa quel giorno, mi fu detto poi, non volle fare la sposa! 

La guerra finì da lì a qualche mese. Tornai, mi sposai, partii per un viaggio che avrei voluto fosse di sola andata. Così non fu! Emilia visse la sua infelice vita in un paese diverso da questo. Non tornò mai più in quella chiesa. Dopo una settimana le musiche di quelle campane a morte invece,  entrarono a casa nostra, morì mia madre giovanissima. La ricordo da viva fortunatamente, ero qui mentre aspettavo la lettera di come i miei avevano organizzato il matrimonio di Emilia e ricevetti invece la cartolina di quella straziante notizia. Del matrimonio mi fu raccontato tutto quando tornai. Antonio Michele Avigliano, classe 1898, fante lucano dal fronte della Prima Guerra Mondiale. 

Nel centenario dell'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale il mio semplice contributo attraverso gli occhi e il cuore innamorato, di un giovane soldato. Ad Maiora.

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