mercoledì 4 febbraio 2015

... tornai e mi vendicai.

... in quella lettera mio fratello mi scrisse: "Mio caro fratello, noi stiamo tutti bene e non c'è giorno che non ti pensiamo. Sei nelle preghiere di tutti. Purtroppo ti devo dare una notizia che non ti farà piacere. Abbiamo saputo che la famiglia di Emilia ha ricevuto un'ambasciata di matrimonio per la tua amata e il padre non ha potuto dire di no. Da qui a qualche mese sposerà il figlio di Carlantonio u'massar. Non ci pensare, pensa solo a tornare presto. Tuo fratello Michele. Vaglio Basilicata, 4 febbraio 1917". Delusione, rancore e odio quello che immediatamente provai. La diffidenza, da allora, mi accompagnò per tutta la vita. Bruciai l'immagine sua, la portavo ovunque,  proprio come un santino di una Madonna. Dalle retrovie arrivò il rancio, freddo come sempre, ancora più freddo e immangiabile quel giorno. Scambiai quel brodo a colla, un durissimo pezzo di carne e quel mezzo chilo di pane con un po' di tabacco con uno che fumava poco e mangiava tanto, anche l'immangiabile. Fu una notte di fumo e grappa, insonne e dai mille pensieri. Uno prevaleva su tutti: vendetta per l'oltraggio subito! Decisi il da farsi, dovevo per forza tornare a casa e cercare di capire cosa fosse accaduto. Così fu! Senza chiedere licenze o permessi che sarebbero stati impossibile ottenere, decisi di abbandonare per cinque giorni il fronte di guerra, confidai la cosa ad un commilitone chiedendogli di non proferir parola con nessuno e partii. Avevo bisogno di quattro giorni di viaggio per andare e tornare e un giorno per vendicare. Non avrebbero nemmeno avuto il tempo di considerarmi disertore, mandarmi di fronte la corte marziale e forse fucilare.
Dopo due giorni di viaggio, bussai alla porta di casa alle quattro di mattina, mi aprì mia madre che per poco non morì credendo di essersi svegliata da un sogno e trovarsi di fronte un figlio che lei, sapeva altrove. Di soprassalto si svegliarono tutti e tutti subito compresero perché ero lì, comparso, all'improvviso. Non mi vedevano da oltre un anno. Mi spiegarono e ce la misero tutta e tutti per calmarmi ma, per me questo, doveva essere un viaggio che valeva la pena aver fatto. Non dormivo da tre notti ma ero lucido, freddo, glaciale, determinato. In un'altra casa Emilia. Per lei, un giorno come tanti e nei soliti campi. Un duro giorno di lavoro. La spiai dall'alba al tramonto, mi nascosi accovacciato, potei guardarla per un giorno intero e per l'ultima volta. 
Intanto il pallido sole di un pomeriggio di fine febbraio di quell'inverno del 1917 stava andando via dietro le montagne dell'Appennino Lucano. Ero lì pronto per mettere a segno il mio piano. Quando lei lasciò la campagna, tornai di corsa in paese e mi appostai in piazza, in un punto affollato di contadini al bivacco e bambini al gioco. La vidi spuntare in lontananza, un balzo felino mi fece andarle incontro. Lei sbiancò! Mi misi al suo fianco e gli chiesi perché? Lei non parlò. Io insistetti, lei muta, nemmeno una parola. Il suo disagio sempre più evidente. Quando fui nel punto più visibile a tutti gli misi una mano sulla spalla. Un oltraggio incomprensibile ora per allora. Erano i tempi in cui con una donna non potevi nemmeno incrociare lo sguardo. Avevo la sensazione che quella donna stesse per perdere i sensi, come in effetti avvenne da lì a poco e quando, per completare il piano, insistendo ancora sul perché, gli alzai la gonna e la schiaffeggiai sul sedere. Un gesto dimostrativo, forte, disonorevole, oltraggioso. Emilia svenne. Nel frattempo molti avevano visto e un'anima pia, un'anziana signora, si mise ad inveire contro di me cacciando tutta la rabbia nello stesso modo in cui una mamma protegge una figlia: "Maledetto! Che fai? Vergognati". Lei nel frattempo ancora non si era ripresa nonostante i soccorsi dei tanti accorsi. Andai via. 
Da allora non la rividi più se non dopo cinquant'anni. La incontrai casualmente e senza livore le chiesi: "Emilia come stai?" e lei con la timidezza di sempre, alzò lo sguardo, mi fissò negli occhi e mi rispose: "come vuoi che stia?" E andò via!
Tornai in guerra e fui consegnato ad una dura punizione. A distanza di tanto tempo la ricordo come la più effimera delle soddisfazioni. E intanto si avvicinava il giorno del suo matrimonio ed io non potetti tornare per continuare, ma scrissi questa lettera alla mia famiglia: ...alla prossima!

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