martedì 3 febbraio 2015

Quando un vento di guerra mi portò via Emilia

La salutai con un biglietto che gli feci trovare sotto il solito masso! Scrissi: "Parto per questa guerra che non è mia e che non ti porterà mai via! Ti prometto che tornerò e sarà per sempre. Prega per me. Antonio". Fu il messaggio più importante della mia vita. Lo scrissi ad Emilia l'ultima sera qui, all'ombra del campanile della chiesa a cui avevo affidato intenzioni e preghiere prima che, l'indomani, una locomotiva trainasse decine di vagoni stracolmi di noi. Eravamo quelli della classe '98. Un lungo viaggio, da Potenza a Gorizia, per ora di solo andata! Ma dov' è Gorizia? Che ne sa un Vagliese, un Potentino, un Pignolese, un Tolvese o un Cancellarese o un lucano qualsiasi di guerre a mille e passa chilometri da qui? Mille i pensieri che mi attanagliarono quella notte. Sarei tornato? Meglio disertare? E poi dove andare? Chi tornava dal fronte, per brevissime licenze, raccontava storie di orrori. Erano leggende o verità? Ero spaventato molto spaventato! Avevo appena diciotto anni pensai che tutto era finito quella notte. Guardavo mio fratello di dieci anni più piccolo e desideravo essergli gemello! Pensavo ad Emilia, candida, pura, immacolata. Mi consolava solo il pensiero che, quando sarei tornato, l'avrei baciata e presto sposata. Non ci avevo mai provato a baciarla, ma quella notte, lo desiderai come non mai. Chiusi gli occhi per qualche ora fino a quando non mi ritrovai nel grande piazzale della Caserma Basilicata di Potenza. Un pullulare di volti impauriti che da lì a qualche ora avrebbero indossato la divisa grigioverde del 29° Reggimento Fanteria della Brigata Pisa. Ci diedero un paio di mostrine verdi e nere,   un numero per il fregio del berretto, un libretto matricolare, uno zaino, del cibo e dell'acqua. Ci inquadrarono in squadre, plotoni, compagnie, battaglioni e fu così che diventammo soldati. Il viaggio iniziò e persi il conto dei giorni fin quando non terminò. Arrivammo a Gorizia prima di essere trasferiti sull'Isonzo. Quando arrivammo su quell'immenso fiume capii che ciò che mi era stato raccontato non era leggenda. Fissavo quei volti sporchi di melma, decine di barelle scendere dalle pendici del Monte San Michele e un formicaio di fanti, muli e carri arrampicarsi per sentieri per andarsi ad infilare in chilometriche trincee. Un brivido freddo mi attraversò la schiena. Amai quando entrai nella mia trincea la terra che avevo lasciato, l'amai, l'amai, come non mai! Era un vivere sottoterra da vivo. Ed eri morto se rifiutavi un comando. In una frazione di secondo decidere se essere fucilato alle spalle da un plotone di carabinieri perché rifiutavi di assaltare o tentare di scampare andando incontro all'alito dell'artiglieria austro-ungarica. Divenni uomo in men che non si dica! Passarono mesi e stagioni e non mi accorsi nemmeno del cambio dei colori, dei fiori, dell'inverno, dell'estate, della primavera, finché un giorno una lettera mi colpì al cuore. Emilia in un gioco assurdo di matrimonio combinato stava volando a nozze con un altro destinato. Un ricco proprietario terriero... la storia continua. 


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