venerdì 30 gennaio 2015

Il vento gelido del gennaio 1799

Un vento gelido tagliava vicoli e comignoli impedendo al fumo dei camini di liberarsi nell'aria. Lo rimandava dentro l'unica stanza dove erano sistemati una dozzina di esseri viventi. Uomini, donne, bambini, cani, gatti, asini e galline. Quasi un'Arca di Noè. Gennaio un mese gelido e quello del 1799 ancora di più. Gli uomini, quelli semplici, avevano poche cose. Le braccia e la buona salute, una moglie, tanti figli e la fede in Dio. Era un pregare sempre, un battersi il petto permanentemente e sottoporsi ad incredibili "trapazzi" di fede. Era un modo per scongiurare carestie e scarsezza di raccolto. Si pregava, pregava, pregava! Si invocava benedizione e protezione per gli esseri viventi, senza distinguere, gli uomini dai serpenti. Quelli erano i tempi in cui, anche la morte di una vecchia gallina, era una fottutissima brutta notizia, quasi un lutto! A una decina di metri da lì, da quell'arca di Noè, scendevi tre gradini ed eri in una becera, fumosa e puzzolente cantina. Un posto perduto per dimenticare, per raccontare e ascoltare e per molti anche per bestemmiare. Un luogo con poche regole ma ideale per assistere e consumare tremende e violente vendette. Erano i tempi di una pancia sempre a metà che poteva contenere litri e litri di infimissimo vino. Quel vino che diventava fumo di allegria in alcuni in altri rancore da vendicare. Fuori da questo mondo un padrone, Daniele Carbone massaro di campo, il suo acerrimo nemico l'arcidiacono Matteo Catalano e tutto quell'immenso mondo di "zimarre" di cui erano zeppi conventi e chiese, poi, una lunga mano, quella del Barone, con esattori e leggi taglione. Non resistevo con quel cappio alla gola. Spirava un vento di cambiamento e libertà ero un lesto di mano e di cervello. Mi chiamavo Carlo Antonio Avigliano figlio di Mastro Gerardo e Maria Antonia Brindisi avevo ventisette anni ed ero un bracciale divenni capo di guardie civiche paladini di libertà. Vincenza Carbone la mia promessa sposa. La storia mi consegnerà come cospiratore, gran sparlatore di Sua Maestà e per questo fui condannato ad espiare le mie pene fra le mura di Ventotene. Dopo Carlo Antonio venne Raffaele, poi ancora Carlo Antonio, a seguire Francesco, Angelo Pasquale, Antonio e infine io. Buongiorno a voi oggi sono partito un po' da lontano.

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